montagneinvalledaosta.com: viaggio in Islanda da Skogar a Fimmvorduhals
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paolo_corsi   Dal nostro collaboratore Paolo Corsi, il racconto di uno straordinario viaggio in una terra selvaggia di straordinaria bellezza.
L'Islanda ti accoglie con un abbraccio nero di tefrite, crosta spaccata; bianco di ghiaccio spesso; verde di pascolo fertile; turchese di sorgente geotermale; rosso di lava viva. Ti aggrappi a un popolo esiguo.
Fiero e discreto. Resistente. Di più. Resiliente. Capace di ritrovare l'equilibrio dopo il ruggito violento della natura. Abile nel ripristinare rapidamente quanto la furia ha travolto. Indomito nel farsi solo un poco in disparte, quando tutto è andato perso. E bisogna ricominciare solo un po' più in là.
Pochi chilometri dal Circolo Polare Artico.
Qui si capisce subito come ogni singolo elemento giochi un ruolo preciso. Non si spreca un quanto di energia. Termodinamica pura. Nulla è per caso. Su questa acerba terra che sopporta un mare gelido, mai docile. Scossa da tremiti. Ferita da faglia, che tutta l'attraversa. Esposta al suo stesso irrazionale ventre: fonte di calore. Ed anche di dolore.
Da tempo, il tempo, non conta più. Non c'è più età. Preferisco invece ascoltare il corpo. Che anch'esso ha uno sviluppo circolare. Tra fasi alterne di benessere. Oggi è un ottimo giorno. Tutto sembra essere pronto per affrontare un nuovo ambiente. E conta solo la percezione di sé. E l'interazione tra ambiente e corpo, lo scambio. Oggi c'è armonia. Il piede è leggero. L'aria "alpina" è intrisa di oceano. Non c'è traccia della fedele compagna di questo agosto. Quella pioggia vaporizzata, gelida, spinta sull'orizzonte da un vento imprevedibile. Oggi è quasi sole. Nordico, ma sole.
     
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4 agosto 2010 da Skogar a Fimmvorduhals

Skogar è un paese. Anche per le proporzioni islandesi. Dove l'insieme di mille abitanti fa già città. Skogar, nel sud dell'isola, conta 29 residenti. Oltre ad una cascata roboante, capace di un salto di 62 mt. Skogafoss, così è stata battezzata, segna proprio l'inizio dell'itinerario. Che porta fino al passo Fimmvorduhals, compresso tra due ghiacciai.
     
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Itinerario:
la cascata resta alla sinistra di chi decide di lasciare la vista di questo prodigio naturale.
Ci si inerpica per l'identico dislivello di Skogafoss lungo un ripido sentiero che sale in un respiro i 62 mt.
Giunti in pochi minuti alla sommità del salto, un solo primo sguardo, già rende sapienti su cosa possa significare l'interno dell'Islanda. Su cosa sia realmente un'eruzione vulcanica.
Sulla desolazione che ne consegue. La valle che si apre, solcata dal fiume glaciale, è ricca di pascoli. Un verde così intenso, al quale noi sud europei non siamo abituati. Eppure, l'occhio attento scorge subito, seppure ancora così vicini all'Atlantico e lontani dalla meta, come la cenere nera abbia contagiato il paesaggio.
Siamo infatti sulle pendici dell'Eyafiallajokull. Il vulcano che solo pochi mesi fa ha paralizzato un intero continente.
Questa stessa cenere è quella che ha ancorato a terra decina di migliaia di apparecchi pronti al decollo, nel marzo scorso.
Ed ora solo la si intravede, già "sconfitta" dal pascolo che risorge. E tinge di verde il nero. In questa interminabile lotta tra vita e morte che quotidianamente segna la storia d'Islanda.
     
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Stupisce subito la nitida traccia di sentiero. Che fedelmente segue la scia del torrente. E per chi ha calpestato infiniti passi lungo i sentieri nostrani, diventa difficile capire tanta pedissequa insistenza nel tallonare il corso d'acqua. Con le sue mille anse; i canyon ripidi e affascinanti, ma dalle sponde infide; i continui salti. Eppure una logica ci deve essere. In un paese dove niente è per caso. E forse, risposta c'è. Il percorso si allunga. Ma l'unica traccia possibile, in un ambiente tanto mutevole quanto ostile, è proprio il letto del fiume. Che in milioni di anni ha scavato. Guidando e domando il flusso prepotente che sgorga dal ghiacciaio. Ogni qual volta il vulcano celato sotto di esso, coperto da centinaia di metri di ghiaccio, si risveglia. Provocandone lo scioglimento. Con conseguenti epocali inondazioni. Dove iceberg dal volume di palazzi si distaccano, e raggiungono valle seguendo questo scivolo naturale. Ecco perché non è possibile allontanarsi dal torrente.
     
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La valle che oggi si dispiega davanti a me, domani potrebbe avere un aspetto completamente diverso. Se solo lava e cenere dovessero impadronirsene. Ma il fiume, con la sua incisione profonda, sarà ancora là. A segnare il tragitto.
Anche questo è fascino. L'ambiente islandese di oggi, potrebbe non essere quello di domani.
Ed infatti i due maestosi ghiacciai che si intravedono nel gioco dei cumulonembi, oggi sono uno spettacolo raro. Forse impressionano ed amareggiano. Paiono feriti nell'orgoglio. Il bianco s'intravede.
Ma tutta la loro superficie ha un mantello nero. Nero cenere. E infatti salendo la cenere diventa fastidiosa compagna. La progressione in stile alpino diventa equilibrismo su finissimo talco.
Che rende faticoso il cammino. Come passeggiata estiva sulla spiaggia.
Il torrente si incupisce a sua volta. Ancora smaltisce il carico dell'eruzione recente. Acque torbide. Che torneranno limpide quand'anche i ghiacci di Myrdassjokull ed Eyafiallajokull torneranno al loro splendore.
Nei pressi del passo intanto , verso quota 1000 m, il cielo d'Islanda sospende la tregua. E' di nuovo tempo di pioggia. E' tempo di rientrare.

Relazione e fotografie di: Paolo Corsi
     
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